Storia della Badia
di Cava de’ Tirreni
La storia del complesso monumentale della Badia di Cava dei Tirreni ha inizio nell’anno Mille, quando un gruppo di monaci si raccoglie intorno all’eremita Alferio.
La piccola comunità del monaco Alferio
La fondazione della Badia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni si deve al nobile Alferio, uomo di corte dei principi di Salerno in seguito divenuto monaco nell’Abbazia di Cluny. All’inizio dell’XI secolo, dopo un’esperienza di vita eremitica, decide di edificare un monastero nella valle del Selano, intorno alla grotta Arsicia, non lontano da Salerno, per accogliere i primi discepoli, che abbracciano come lui la Regola di San Benedetto. Durante l’abbaziato di Alferio vestono l’abito nel monastero di Cava giovani provenienti da famiglie benestanti del territorio, come il nobile Desiderio, futuro abate di Montecassino e pontefice. Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, il nipote e terzo successore dell’abate Alferio Pietro I (1079-1123) consolida il potere del monastero di Cava. L’abbazia è avamposto dell’autorità papale, luogo di confino dell’antipapa Silvestro III e, più tardi, dell’antipapa Gregorio VIII, che vi muore nel 1137.
L’autorità della congregazione cavense
La badia acquisisce nuovi possedimenti, donazioni, privilegi, esenzioni da parte della nobiltà prima longobarda poi normanna, e il diritto di patronato su chiese e monasteri da parte della Chiesa. Nel 1092, Papa Urbano II, giunto in visita, consacra la nuova basilica della Santissima Trinità. La badia diviene il centro della congregazione monastica cavense, con possedimenti nel Salernitano, dal Cilento al Vallo di Diano, in Puglia e nella Calabria settentrionale, quindi in Sicilia. La congregazione si afferma attraverso una struttura di controllo fortemente centralizzata per l’amministrazione dei beni e delle dipendenze. Sotto l’abate Benincasa (1171-1194) la nave della comunità cavense è esentata dal pagamento delle tasse di attracco nei porti d’Oriente; all’inizio del XIII secolo, l’abate Balsamo (1208-1232) ottiene da Federico II l’elezione dell’abbazia a Camera imperiale.
Dalla commenda all’ingresso nella congregazione di Santa Giustina
A minare l’autorità della badia di Cava e a minacciare il suo esteso patrimonio fondiario, tra il XIV e il XV secolo, intervengono fattori quali il trasferimento del papato da Roma ad Avignone e i conflitti per la successione nel Regno di Napoli. Né la bolla pontificia di Bonifacio IX, che nel 1394 eleva l’abbazia a sede episcopale, né tantomeno la commenda – con la nomina di abati non residenti – contribuiscono ad arrestare il declino, enfatizzando anzi il clima di decadenza della vita monastica della comunità cavense. La rinascita, all’inizio del XVI secolo, è stimolata dall’ingresso della Badia di Cava nella congregazione di Santa Giustina (poi congregazione cassinese). Al rinnovamento spirituale si affiancano la promozione di studi storici e la valorizzazione del patrimonio artistico, archivistico e librario del monastero.
Il cenobio cavense moderno e contemporaneo
Sul finire del XVII secolo, l’abate Severino Boccia (1671-1677) si trova ad affrontare la grave crisi economica dell’Abbazia di Cava, evitandone la soppressione. I suoi successori possono riprendere l’opera di rinnovamento artistico e architettonico intrapreso dopo l’ingresso nella congregazione cassinese: nel 1761, l’abate Giulio De Palma promuove la ricostruzione della basilica sulle fondamenta di quella precedente – della quale rimane solo la cappella dei Santi Padri –, del seminario, e di altri ambienti del monastero. Le soppressioni napoleoniche investono la badia di Cava, che riesce a salvare il proprio patrimonio, presidiato da un gruppo di monaci e dall’abate Carlo Mazzacane (1801-1824).
Una situazione che si ripete qualche decennio più tardi, con la costituzione del Regno d’Italia e le leggi sulle Corporazioni religiose e sull’asse ecclesiastico. La Badia di Cava dei Tirreni – come le abbazie di Montecassino e quella di Montevergine – si salva dalla confisca dei beni; nonostante la riduzione del suo patrimonio fondiario, la comunità dei monaci cavensi si adopera per dare nuovo fermento alle attività di studio e di formazione, con l’istituzione del collegio. Scampata ai bombardamenti e alla devastazione al passaggio del fronte, la Badia di Cava, durante il secondo conflitto mondiale, ha ospitata la popolazione evacuata dai centri limitrofi, tornando poi ad essere, in tempo di pace, luogo di spiritualità e di cultura.